ono nato appena in tempo per riuscire a vedere e ricordare gran parte dei miei connazionali ricorrere ai vestiti principalmente per coprirsi e proteggersi dal freddo. Chi poteva, faceva uso di prodotti di migliore qualità, o magari rinnovava più spesso il guardaroba, ma erano pochi quelli che riempivano un armadio solo per il gusto di riempirlo.  
  E non era disdicevole riciclare, per esempio, un cappotto non più utilizzabile, magari per motivi di taglia, adattandolo ad un membro della famiglia di età e dimensioni ancora con quello compatibili, quando non era possibile addirittura trasferirne semplicemente il possesso.  
  Per questo non ho mai trovato ridicolo il mio nonno paterno ritratto davanti alla sua bottega di falegname con indosso gran parte di quella stessa uniforme che aveva usato fino a pochi mesi prima per distinguersi dall'avversario austro-ungarico.  
  E forse è per questo che non trovo strano l'oggetto di queste note, ovvero quello che è stato un fucile M1903, realizzato presso l'arsenale di Springfield, che al termine di un breve periodo di servizio è stato congedato, ma solo per continuare a prestare servizio in abiti civili.  
  Perché al momento del suo congedo il nostro non era un oggetto da collezione, ma solo un buon fucile. Un buon fucile che forse si è reso disponibile ad un costo inferiore rispetto a quello che il suo nuovo proprietario avrebbe dovuto pagare per averne uno altrettanto buono, ma realizzato appositamente per la caccia. A trovarne uno, in una Europa appena attraversata da una guerra mondiale. Diversi indizi fanno pensare proprio ad una trasformazione avvenuta in Europa, presumibilmente (a detta di chi ne sa più di me) negli Anni Venti.  
  La trasformazione è stata eseguita per ricavare non tanto un’arma di pregio, quanto uno strumento utile, seppur ingentilito nell’aspetto, magari sorvolando su alcune piccole imperfezioni.  
  Ne è venuto fuori un fucile molto snello: a dare questa impressione aiuta la lunghezza della canna (insolitamente lunga per una calciatura stutzen) che è rimasta quella originale.  
     
 

 
     
  Forse all'inizio la calciatura non sarebbe dovuta arrivare fino alla bocca: l'anello forzato attorno alla canna, a metà della sua lunghezza, reca inferiormente un passante (nascosto da questa calciatura), del tipo utilizzato di solito per sostenere una maglietta.  
     
 

 
     
  L'azione dice chiaramente quale fosse l'uniforme vestita dal nostro: la meccanica non ha quasi subito modifiche, persino il "bolt stop" (che non sono riuscito a fotografare) è rimasto al suo posto, nascosto dal ponte posteriore, sul fondo del canale di scorrimento dell'aletta sinistra.  
  Sul ponte posteriore è stata ricavata una delle slitte a coda di rondine destinata a portare l'anello posteriore per un'ottica, con tanto di risalto di arresto allo scorrimento.  
     
 

 
     
  Il serbatoio in passato deve essere stato attraversato da due sottili perni, oggi assenti, che ne riducevano la capienza ad… un solo colpo! E l'unghia dell'estrattore appare come molata, verosimilmente per permettere di chiudere l'otturatore su una seconda cartuccia posta direttamente in camera riducendo lo sforzo sulla lamina dell’estrattore (ma l'estrazione sarà stata poi ancora affidabile?).  
     
 

 
     
  L'anello anteriore dell'azione è stato lavorato con l'ugnetto per rendere meno evidente l'origine militare dell'arma, ma senza nasconderla del tutto: per esempio, si riesce a leggere con una certa approssimazione il numero di matricola originario (1001844, o 1091844), che indica come l'arma sia stata realizzata verso la fine della Grande Guerra, o poco dopo.  
     
 

 
     
  La canna è quella originale, o, almeno, è nata per un'analoga arma, come indica l'intaglio si intravede al di sotto della slitta anteriore per l'attacco dell'ottica.  
     
 

 
     
  Un'altra modifica evidente è quella della manetta di armamento: ecco un'immagine del suo lato nascosto.  
     
 

 
     
  Un dettaglio delle mire: alzo a due fogliette, tarato con grande probabilità per la munizione d’ordinanza statunitense alle distanze di 100 e 200 metri.  
     
   
     
   
     
     
  Snella e comoda l'impugnatura a pistola.  
     
 

 
     
  La pala del calcio, con poggiaguancia.  
     
 

 
     
  Anche la testa di tutte le viti è stata lavorata e resa in qualche modo meno marziale.  
  Qui è molto evidente qualche incertezza nella zigrinatura.  
     
 

 
     
  Un dettaglio dell’incassatura.  
     
 

 
     
  Ed infine un dettaglio del calciolo, in corno.  
     
 

 
     
     
 

Non aggiungo altro, se non un invito al lettore a rendere, insieme a me, un omaggio ad uno sconosciuto artigiano, che ha riassunto in quest'opera la sua perizia, con una pazienza che sarebbe poi stata messa in disparte da quei moderni metodi di lavorazione che già avevano iniziato a fargli concorrenza.
 

 
     
     
  Frank Mancuso