A CAPRIOLI CON GIANLUCA

 
 

di Mauro Minervini (1946-2017)

 
       
  ianluca Garolini  ed io ci siamo conosciuti, epistolarmente, una quindicina di anni or sono; un amico mi aveva offerto una Cz Zkk camerata in 8x64 Brenneke, cartuccia assai insolita, ed io mi ero rivolto a “Diana Armi” per avere notizie, soprattutto in merito alla ricarica ed al reperimento dei bossoli. Mi aveva risposto Gianluca, naturalmente con molta cordialità e competenza, dandomi tutti i lumi necessari.  
  Necessari, ma mai trasferiti nella pratica perché la Zkk, oltre a montare una calciatura malignamente giallo-itterico che mi aveva lasciato fortemente dubbioso, era afflitta da non so più quale problema per cui non trovai modo di montarci un paio di attacchi EAW che giravano per casa ab immemore, insieme a qualche ottica, grilletti, molle di ricambio, tacche, mirini di attribuzione incerta e cianfrusaglie varie contenuti in uno di quei cassetti dove finisce roba spesso parecchio costosa della quale non vuoi (come ogni “fucilaro” o “pistolaro” che si rispetti) disfarti anche se escludi di potertene servire prima di un lustro.  
  Finita la storia dell’8 Brenneke,  ci siamo trovati –senza ricordare agli inizi il precedente- su internet, abbiamo familiarizzato, ho appioppato al nostro il nomignolo di “picodellamirandolagarolini”, in onore alla sua onniscienza oplologica ed abbiamo cominciato a frequentarci insieme ad un gruppetto di amici oplofili; tutti legati a “radica e bajonette”, ma soprannominati con felicissima intuizione (alla vista di una foto scattata dopo centinaia di chilometri ed un ottimo, ma inverecondo,  pasto a base di cucina emiliana) “Gli Scafisti Balcanici”  
  Abbiamo fatto una bellissima gita, con visita indimenticabile in Beretta, diverse incursioni a Gardone ed in tutta la Val Trompia, con base nell’azienda armiera di quel sant’uomo di Paolo Amadi (alias “Mister Euroarms”), a San Marino, in Puglia. Nel frattempo Gianluca aveva rinvenuto un appunto (beato lui, io ho già perduto quelli di ieri!) nel quale erano riportate le domande, relative all’ 8x64,  poste alla sua rivista da tale Mauro Minervini.  
  Diverse volte siamo anche andati a trovarlo tutti insieme nella cittadina dove gestisce, col simpaticissimo e competente socio Maurizio, un’armeria, sintesi oplologica del detto “botte piccola, vino buono” Insomma, ci frequentiamo da diversi anni, abbiamo cominciato da tempo a fare qualche progetto per l’Irlanda, l’Ungheria, la Scozia e compagnia bella, ma di fatto a caccia insieme non ci eravamo ancora andati. Francamente, il paciosissimo Gianluca è per me un po’ il fratello minore che non ho mai avuto, e ne ho una stima smisurata. Come uomo prima che come grande conoscitore di armi , caccia e cartucce. Stima che spero ricambi almeno in parte; anzi, mi sembra che a volte sopravvaluti affettuosamente le mie capacità e le mie conoscenze.  
  La scorsa primavera Gianluca (consapevole sin dai tempi della 8x64 della mia passione per le Cz Zkk) mi rimedia una bellissima 601 in .243 Winchester, con un 6x42 Swarovski altrettanto bello, e dopo pochi giorni li uso per riprendere confidenza col capriolo, abbattendone bene uno più che buono. Divento selecontrollore, riprendo a pieno il gusto per la caccia con la carabina, ne parliamo insieme e finalmente stendiamo un piano di battaglia non più virtuale, ma reale e concreto come una palla solid da .470”. “Il prossimo inverno -sanciamo con serietà e compostezza degni del trattato di Villafranca- caschi il mondo, si va a caprioli insieme. ”  
  E siccome siamo uomini di parola,  e per quanto mi concerne anche di panza, ecco che arriva il grande momento.  
  Alla fine di novembre del 2006,  Gianluca (che affettuosamente chiamerò anche Pico, in relazione allo sfottò “picodellamirandolagarolini”), mi avverte che dalle sue parti è possibile dare una mano (per vil mercede; cioè pagando, non percependo, un peraltro modestissimo contributo) a completare dei piani d’abbattimento; e mi comunica anche che è riuscito a riservare un piccolissimo numero di femmine, cui daremo la caccia lui, il suo socio, Marco- un noto giornalista venatorio nostro amico-  ed io. Accetto con entusiasmo: non mi pare vero cacciare con quello che considero un amico fraterno ed una colonna dell’oplologia italiana e con una delle migliori “penne” del settore, anch’egli carissimo amico.  
  A metà gennaio, mi richiama: non c'é neve e ci sono caprioli in giro dappertutto! Io, però, ho un problema serio: mia moglie, pur donna indistruttibile, si è rotta malamente il polso destro, ed è fortemente limitata dal problema. Non mi sento a posto con la coscienza (anche se lei, santissima Donna, fa il muso…perché non vado; pensate che cosa mi ha riservato la sorte!!!) a lasciarla sola un paio di giorni in mezzo alla campagna, o a costringere mia figlia a trasferirsi da noi -mentre prepara la tesi-con genero, armi e bagagli. Rimandiamo, ma mordo il freno.  
  Il polso uxorio migliora, seguita a non nevicare, fa anzi parecchio caldo, caprioli ce ne sono parecchi. Come disse un noto statista nel giugno 1940, “l’ora delle decisioni irrevocabili e giunta!” Verso il 15 di febbraio ci sentiamo per telefono e quasi all’unisono stabiliamo perentoriamente: mercoledì 20, cascasse il mondo, andiamo. Peccato, Marco non potrà essere della partita!  
  E così il 19 mattina, zaino, scarponi, giacche, pantaloni e gilets di tutti i pesi e tessuti (è febbraio, fa caldo come a maggio, ma dobbiamo cacciare in montagna), una buona dose di allegria ed una fiaschetta di ottimismo. Peccato però che la carabina che dovevo portare, la .243, debba restare a casa.  
     
 

 
 

 L’amatissima Zkk rimasta a casa

 
     
  Mi è caduta battendo il cannocchiale e non ho modo di verificare (lo farò al ritorno, con esito del tutto positivo) se abbia mantenuto o meno la taratura. In rastrelliera ci sono una 45-70, due ex ordinanza senza ottica in 7x57 ed in .303, un 300 WM tarato con palle da 180 grani a 920 m/s, la 7x64.  a punto con palle da 150 grani soft nose 850 m/s- molto morbide e veloci, entrambe eccessive per il capriolo; dovrò, cosa che mi mette appena un po’ a disagio, sparare con una delle carabine di Gianluca; certamente sarà un’arma ottima, perfettamente tarata su una munizione idonea al capriolo, ma non potrò avere il feeling che ho con le mie.  
  Per strada, debbo fare una piccola diversione . Dodi (altro fraterno amico, che abita a Pesaro, non lontanissimo da Gianluca) mi ha trovato un’altra ZKK. Questa è una 602, in .375 H&H Magnum. Arma e cartuccia incarnano il mito della caccia africana, ma per qualcuno con una duecentosettanta grani costituisce una soluzione ideale anche per i grandi cervi; ed io ho intenzione di regalarmene presto uno. Decido di evitare il doppio viaggio, ed allungo passando da lui, a Pesaro; sono pochi chilometri, ma vengo costretto a fermarmi qualche ora per dare un’occhiata alle belle armi di Dodi, preparare i documenti per la compravendita della carabina e consumare (recalcitrante, son quasi pronto a giurarlo!) un succulento pasto. Nel pomeriggio sono a nell’armeria di Gianluca. Mi accoglie festosamente, mi presenta un po’ di amici e con loro la carabina che userò domani. Una bella Winchester 70 pre 64, con otturatore mauser “vero”, munito di estrattore integrale a lamina.  E’ camerata per una cartuccia veramente cattiva, la .264 winchester magnum, equivalente Stars & Stripes della splendida 6,5x68 Schuler. Forse, penso, avessi portato il .300 avrei rischiato danni minori. L’ imbraccio, provo lo scatto; mi piace, certo farà bene il proprio lavoro, sempre che io la aiuti a farlo. Più tardi, una pizza alla svelta con Gianluca, poi a dormire nella locanda che solitamente ci ospita quando siamo in trasferta da quelle parti. Controllo zaino e documenti, preparo i vestiti per l’indomani, punto la sveglia alle 3 e trenta,  poi a letto. Il tempo di spegnere la luce, già suona la sveglia. Doccia, vèstiti, per strada. Pico arriva subito, assonnato quasi quanto me .  
  Traversiamo, mentre sonnecchio, una città ed alcuni paesini che appena intuisco. Trasbordiamo sul fuoristrada di Massimo, l’amico di Gianluca che ci accompagnerà a caccia, ci fermiamo per un caffè e proseguiamo verso la montagna.  
  Saliamo sulle stradine tortuose mentre ancora la luce delle case tremola nel buio, poi l’alba illividisce il cielo dietro le vette delle montagne e siamo a destinazione. Attendiamo agli adempimenti burocratici, imbuchiamo i permessi e segnaliamo i nostri nomi nella cassetta e sulla bacheca dei selecontrollori.  
  Pochi chilometri, lasciamo l’auto e cominciamo a muoverci in silenzio nella luce ancora incerta. Percorriamo, fantasmi sgranati in fila indiana lungo stradelli e spallette, alcune centinaia di metri. Nell’aria fresca e frizzante cogli gli odori i rumori e gli umori di un mondo che a te pare tuo da sempre, ma che apparterrà per sempre solo ai caprioli, ai cinghiali, alle creature ed alle leggende della montagna. Senti il brusio lieve del bosco che si risveglia. Un tordo sfreccia zirlando al tuo fianco, un capriolo abbaia lontano sopravvento. Il torrente accompagna frusciando i tuoi passi; il rumore sottolinea nella tua mente le parole della preghiera che indirizzi a Diana.  
  Ad un tratto, una delle due ombre che ti precedono, si arresta, si china e avanza, quasi scivola, cauta e silenziosa verso il ciglio di una scarpata.  
  La segui, anche tu quasi carponi, gli occhi fissi sulla radura che hai davanti e la mano sul binocolo.  
  Ci affacciamo sul primo costone.  Nella valle immediatamente sottostante una bella radura non mostra tracce di caprioli. Sulla sinistra, a circa 500 metri una femmina adulta con un paio di giovani e, un po' più in là, un altro branchetto che la distanza e la vegetazione impediscono di individuare con sufficiente certezza. Tra noi e loro una bella discesa, terreno mosso ed interrotto da due o tre spallette di macchia, una delle quali costeggiata da un piccolo corso d'acqua  
     
  Tentiamo l'accostata; arrivati a mezza strada, avvertiamo, netto ed improvviso,  vento forte alle spalle. Decidiamo quindi di fare un giro da sinistra, in salita, nella speranza di trovarci poi i caprioli a destra in basso, evitando così che il vento porti loro l'emanazione.  
  La strada è lunga, stiamo molto attenti, ma ogni tanto un piccolo rumore ci fà salire il cuore in gola. Un legno scricchiola, un piccolo sasso rotola per pochi centimetri; ti fermi, raggelato, poi riprendi sempre più attento il cammino.  
  Arrivati all'altezza dei caprioli, appena passata l'ultima lingua di macchia, ad avvicinamento praticamente effettuato ci accorgiamo di essere stati bravi, anzi bravissimi; tanto che i caprioli sono saliti anche loro verso di noi. Ci scopriamo reciprocamente all'improvviso, e gli animali (che negli ultimi metri dovevano comunque averci percepiti) partono a salti verso un gruppetto di costruzioni rurali. Naturalmente, di sparare non se ne parla.  
  Seguitiamo ancora qualche minuto, Massimo taglia verso il punto di partenza e va a recuperare la macchina. Gianluca ed io giriamo per parecchio tempo ancora, sbinocoliamo continuamente, ma di altri caprioli non c'é traccia. Sulla strada sterrata approdiamo contemporaneamente a Massimo che arriva in macchina, lampeggiando insistentemente. Pico ed io ci guardiamo senza parlare.  
  Dove ci siamo affacciati la prima volta, riferisce Massimo, c'è una coppia di caprioli :un maschio ed una femmina adulti. Noi abbiamo in quota appunto delle femmine adulte, non c'é tempo da perdere.  
  Torniamo su; ripercorriamo per qualche minuto, carponi, il primo tratto di strada esplorato la mattina e finalmente arriviamo in vista degli animali. Stiamo su un terrazzo coperto di alberi, delimitato da una stretta striscia erbosa, che affaccia su uno strapiombo di alcuni metri.  
  Sotto, una vasta radura confina con la macchia che forma una sorta di angolo ottuso.  
     
 

 
     
  Quasi al confine, i due caprioli brucano, a tratti si guardano intorno. Sono molto vigili, all’erta, il sole comincia ad essere alto; si sentono esposti e sono pronti a scomparire tra gli alberi al primo segnale di pericolo.  
  Mettiamo mano ai binocoli; li valuto a circa 180 metri, Massimo li telemetra e sussurrando conferma "187".  
  L'angolo di sito è sensibile, penso subito che dovrò tenere il reticolo un po' basso rispetto al punto da colpire.  
  Butto in terra lo zaino, mi stendo prono sull’erba ed appoggio la carabina . Ieri, nell’armeria, sembrava facilissimo. Adesso, sparare con un'arma non mia, che ho visto la prima volta 12 ore fà e non ho mai imbracciato, con una cartuccia che conosco solo per relazione con la “cugina” tedesca, il 6,5 Schuler, ad un animale piuttosto nervoso, metterà veramente alla prova le mie capacità. Accidenti, infatti non trovo l'allineamento col cannocchiale, faccio su e giù col collo per un’eternità; oltretutto, tanto per complicare la faccenda, la femmina ed il maschio si scambiano continuamente di posto; sono evidentemente nervosi. Finalmente, ecco, aggancio il mio bersaglio, che seguita a muoversi; trovo la spalla dell'animale nel reticolo e contemporaneamente il cannocchiale ben allineato all’occhio. . All'angolo di sito, grazie a quei lunghissimi secondi, penso di nuovo solo dopo aver premuto il grilletto. E la palla passa un dito troppo alta. Sento gli amici che sussurrano "alta", vedo i caprioli che  partono entrambi verso la macchia. Gianluca, mi dirà subito dopo, sta per suggerirmi "ricarica", ma prima di aprir bocca vede il bossolo in volo e poi l'otturatore già chiuso su una nuova cartuccia. Seguo la femmina nel reticolo, ora non ho più problemi di allineamento. Qualcuno (Massimo, Gianluca, io, tutti e tre?) fà un leggero sibilo, e come stregati, i caprioli si fermano all’improvviso. Ora sono a a 210 metri, dirà il telemetro dopo sparato, quasi nella macchia e la femmina non é più di traverso, ma dritta avanti a me. È un capriolo, non un cervo, il bersaglio é veramente ridotto, soprattutto se spari con una carabina sconosciuta. L'adrenalina, stranamente, in queste occasioni mi dà una forte capacità di autocontrollo e riesco a rimanere completamente freddo e raziocinante. Ho, da subito, la colonna vertebrale della femmina allineata al reticolo, ma penso che se la colpisco lì, con un angolo di 25 gradi circa, l'effetto della velocissima 120 grani, ( v° attorno ai 1050 m/s ) dopo l'impatto con le vertebre sarà devastante perché la palla attingerà la cavità addominale ed il mediastino dopo essersi deformata urtando contro una vertebra. Correggo, sposto di qualche decimo l'arma; ora se sparo bene la colpirò appena a sinistra. Stringo il fucile, tiro dolcemente il grilletto. E succede una cosa mai vista. All'impatto, la palla solleva un'incredibile, inverosimile nube di pelo; l'impressione che abbiamo tutti e tre é che sia stato colpito in pieno un enorme colombaccio. La femmina accusa evidentemente il colpo,  flette, quasi si siede, il posteriore e si avvia barcollando verso la macchia. È ben colpita, ne siamo certi. Dichiaro di aver tirato alla spalla alta. Mi fanno i complimenti (la seconda fucilata ha forse rimediato alla prima, per la quale mi sento, magari con qualche attenuante, un po’ colpevole, ) ; abbiamo visto tutti che l'animale ha accusato nettamente e Massimo ha notato col binocolo una grande macchia rossa sul suo fianco. Facciamo un lunghissimo giro per il recupero. Le ultime centinaia di metri a piedi, l'ultimo tratto in salita dura; ma ho le gambe leggere come quelle di un ventenne.  
  Arriviamo sull'anschuss, e osserviamo uno spettacolo veramente insolito: per almeno 3 o 4 metri quadrati, l'erba é coperta come da una nevicata di pelo di capriolo. Sul posto non c'é sangue, inizio a preoccuparmi; ma pochi metri verso la macchia, ecco cominciano le prime, vistosissime tracce. Alcuni arbusti ne sono coperti ben oltre l'altezza del capriolo, sembra addirittura che il rosso vermiglio sia il loro colore naturale ; la traccia diventa sempre più evidente, pochi metri ancora e la femmina é in terra, esanime. La palla da 120 grani l'ha colpita all'altezza da me voluta, forse un paio di centimetri più a sinistra di dove intendevo indirizzare il colpo. Sembra che il costato abbia ricevuto un fendente da uno spadone a due mani, o da un'ascia sassone. È lacerato per circa venti-venticinque centimetri, molte costole sono state letteralmente segate. Gli organi interni mostrano grandi tracce del colpo e del forte effetto pressorio provocato dall’impatto della velocissima palla.  
  Certo, concordiamo, se non fosse stata fortemente adrenalinizzata, non avrebbe fatto neanche la poca strada che é riuscita a percorrere. Si tratta di una femmina adulta, con la tavola masticatoria ben consumata dagli anni.  
     
 

 
     
  Accudiamo con rispetto la spoglia, apponiamo con cura la fascetta, e la laviamo in un cristallino torrente di montagna; una sorta di ultimo abbraccio con i magnifici posti dove ha vissuto.  
  Torniamo alla macchina, il capriolo sulle spalle, sulla strada sterrata. Il vento l’ accompagna l’ultima volta con lo stormire delle fronde.  
  Giriamo invano alla ricerca di un’altra femmina per Gianluca, le sole due che troviamo, oltre a quella che ci traversa improvvisamente davanti all’auto mentre torniamo a casa, sono troppo vicine alla strada e non è assolutamente il caso di sparare.  
  Al punto di valutazione, dopo gli adempimenti burocratici, ci concediamo un buon pasto. Leviamo i bicchieri, e con un Weidmannsheil rendiamo onore al capriolo.  
  Credo sia stata una delle più belle giornate della mia vita di cacciatore, certo la più bella da anni. Grazie ancora, Pico e Massimo. Alla prossima.