assare un pomeriggio, magari mentre ti aspetta la tua prima ragazza o i tuoi compagni del Liceo, col naso schiacciato sulla vetrina di Casciano; tentare quattordicenne l’uscita da casa, col 20 piegato sotto il giaccone in una tiepida domenica di ottobre, nella speranza, vana, di fregare in un sol colpo tuo padre, i guardacaccia, forse un beccaccino.  Erano anni lontani, in cui nessuno si stracciava le vesti se un ragazzo  
  pensava alla caccia ma allo stadio si  andava senza bisogno della Polizia in tenuta antisommossa e le signore potevano andare a Teatro con il collier di brillanti in bella vista.  
  Sopportare per ore, per mesi, un ricco e stupido amico nella speranza che ti mostri (e ti faccia usare) il suo Royal. Sentire, per la prima volta, il rumore morbido, sordo e metallico di una cartuccia che scende, grave, nella camera di un express.  
  Tanti momenti in cui una bell’arma diventa, per un’ora, un giorno, un mese, o per sempre, un pezzo importante della tua vita.  
  E pensi a volte, in questi momenti, di esser tu il solo grande appassionato, o uno dei pochissimi eletti. Che solo una radica, un’incisione, una bascula di equilibrio perfetto siano capaci di suscitare, in un vero oplofilo, sensazioni di beatitudine pari a quelle create da un’impeccabile esecuzione di Beethoven, da un quadro di Van Gogh, da una imperiosa scultura d Michelangiolesca  
  Poi, un giorno, incontri un altra persona; presenta sintomi diversi. Diversissimi. O, forse, gli stessi.  
  Lui, al Liceo, andava in un museo a sbirciare 91, od i Garand; o un lungo schioppo chiamato "tapum" che -pensi con un filo di sussiego- non verrà mai alla spalla con la facilità del Lebeau o della Boss che covi da anni. Non avrà mai legni e zigrini di pari bellezza. La guardia del grilletto, ti dici, pare l’antitesi dell’eleganza.  
Anche l’altro, intanto, guarda i tuoi schioppi.
  Quelli lisci, pensa sprezzante, non tireranno mai oltre i quaranta metri. Quelli rigati produrranno meste parabole a sesto acuto. Mai da loro verrà storia diversa da quella di una divertente giornata; le tragedie passate avanti a quelle canne sono, al massimo, sintetizzate in un elefante che si abbatte di schianto nella savana, dal Gneck di un beccaccino spezzato dal piombo, da uno stupido uomo travolto, in un tragico gioco, da quella che doveva essere preda.  
  Poi cominciate, tu e lui, a guardar meglio, pensare, di nuovo guardare. E all’ironia subentra la curiosità, la voglia, di capire Perché.  
Parlate, ascoltate, riflettete. E, alla fine, capite.
  Capite che provate entrambi lo stesso sentimento di stupita ammirazione davanti all’opera dell’Uomo.  
  Che amate le cose vere, che i tenoni del tapum, la chiusura del Boss, il "catenaccio" kersten del Sodia sono figli della stessa cultura. Che dentro ognuna delle " vostre" armi c’è la storia, quella dell’ homo faber.  
E decidete di fare un pezzo di strada insieme.
Come abbiamo deciso noi.
  Anche per poter dire che un  fucile modesto diventa inguardabile se ancor più modesta è l’incisione, e che questa se non è bella è meglio non ci sia ; che un’arma militare stuprata da una canna non sua è ormai soltanto un fucile, irrimediabilmente senza attributi. Che un bel legno ed un’incisione da milioni non fanno, senza la classe, un’arma da signori, ma solo da ricchi.  
  Che quella di fare armi belle è arte, ed è arte di pochi; che non è il prezzo che fa l’arma, ma la storia che essa rappresenta o dalla quale essa è nata a fare arma e valore. Che è cosa diversa dal prezzo.  
  Noi vorremmo, immodestamente, far di queste pagine elettroniche un piccolo centro di cultura oplofila. Con l’aiuto di altri uomini di buona volontà, ed un po’ di entusiasmo, contiamo di riuscirci.  
 
  Mauro Minervini (1946-2017)