di Mauro Minervini (1946-2017)

 
       
 

on è stato difficile convincermi ad accompagnare alla Royal Armouries alcuni cari amici, tutti contagiati come me, seppure in forme lievemente diverse, dallo stesso virus; lo è stato molto di più ottenere che venissi via.
Ci siamo visti presto con Frank Mancuso al casello autostradale di Orte, poi una lunga galoppata sulla Flaminia.  

 
 

Dopo decenni (andavo a far gare coi cani a Cagli, sul Monte Petrano, negli anni '70 e '80) ho rivisto Scheggia, i monti innevati, i paesini sospesi tra monte e strada.  Come si addice a chi va pel mondo a cercar belle cose dei tempi andati.

 
 

Infine, costretti, sull’autostrada. Riunione al casello con altri due contagiati dal virus, Dodi e Absolut, e posticipata di poco con RH, che ci ha subito raggiunti alla Royal.

 
 

Mancavano, ma saranno lesti a rifarsi, alcuni personaggi del nostro gruppetto.  Dedicando loro un commosso e mesto pensiero, abbiamo fatto trionfalmente ingresso nella tanto decantata armeria.

 
  Inutile, ipocrita, che stia a descrivere con gridolini di meraviglia l’elevato numero di ex ordinanza, il loro splendido stato, la loro illibatezza collezionistica.    
  I miei amici specialisti del ramo affermano che è così, non sarà il mio parere a modificare, in bene o in male, quello loro e degli altri appassionati.  Anche perché se dicessi che ho passato lunghe ore a guardare armi militari, la maggior parte (7 o 8, che mi sembra sian più del preventivo Manzoniano) dei miei lettori non ci crederebbe, ed avrebbe ragione.  
 

Mentre gli altri ribaldi si avventavano su Moisin, 91, 98 eccetera, io mi aggiravo cercando ... pane per i miei denti.

 
 

E ne ho trovato, caspita se ne ho trovato!

 
 

A parte un semiauto Benelli 80 in mint conditions, con un calcio veramente bello, eccellente ed un FNA Victor (sovrapposto con canne scorrevoli, tutto in lega di alluminio comprese le canne) che su mio consiglio Absolut si è accaparrati senza esitazione, un Mauser sudamericano sporterizzato in 458 winchester ed uno springfield 30/06 “sporterizzato stutzen” preda immediata di Frank Mancuso (armi gradevoli e validissime, ma tranne il Victor non propriamente rare o di pregio particolare), ben ordinati su una rastrelliera ho trovato alcune particolarissime armi da caccia ( o da difesa utilizzabili a caccia, o viceversa) tutte di grosso, finanche io direi grossissimo, calibro. Tutte tranne una, un Martini da Tiro cal.  8, che è veramente limitativo definire splendido.

 
 

Ad eccezione di quest’ultimo, vere e proprie bombarde manesche, dalle volate a volte più larghe di una moneta da un euro; che varrà poco, ma ha un diametro superiore a quello di quasi tutti i calibri da caccia che io conosca.

 
  Insomma,  ho trovato i cannoni di San Clemente.  
  Ed ecco a voi le foto, con un breve commento.  
     
     
   
 

 
     
     
  Rolling block cal. 10, del 1869; al di là del particolare calibro (che lo renderebbe idoneo alle cacce di palude, ai grandi mammiferi europei e non, ed alla difesa) il fucile è veramente interessante per essere stato prodotto dalla Westley Richards, la grande casa Inglese che sviluppò progetti come gli acciarini Anson & Deley, le batterie estraibili e la chiusura “testa di bambola”.  E’ innegabile che l’aver costruito un fucile su progetto meccanico Remington appare assai significativo in merito all’ apprezzamento che il Rolling Block deve aver riscosso presso la famosa casa e tutti i fabbricanti del mondo.  
     
   
     
   
     
   
     
     
 
 
     
   
     
 

 
     
  Fucile lever action Winchester mod. 1887 cal 8, da postiglione.  
  Si tratta di un’arma studiata per un impiego molto particolare; come tutti sappiamo (anche chi non avesse visto “ombre rosse”) in USA l’attacco alla diligenza era un episodio ricorrente, direi quasi ordinario.  I postiglioni erano soliti difendersi con corte doppiette (in genere con calciatura intera e più lunghe degli street owitzer, obici da strada, utilizzati “ a terra”).    
  Le loro rosate correggevano, per quanto ampie, solo in piccola parte gli errori di mira dovuti ai paurosi sobbalzi della diligenza, certo non in corsa su una moderna e liscia autostrada. Inoltre, una volta esplosi i due colpi, si poneva il problema di ricaricare.  
  Nonostante spesso il tiratore non fosse propriamente il postiglione, ma un impiegato assunto ad hoc dalle compagnie, ed avesse libere entrambe le mani, aprire la doppietta, cercare le cartucce, ricaricare, richiudere -il tutto mentre si preoccupava di non cadere dalla diligenza in corsa- doveva essere esercizio difficile da eseguire.  
  Questo bombardiere senza ali chiamato Winchester presentava certamente molti vantaggi, tra i quali:  
 
  • una rosata veramente generosa (parliamo complessivamente di alcuni etti di pallini, conseguentemente di una rosata guarnitissima anche con cartucce a pallettoni) uno stopping power non paragonabile a quello di un cal.  12, ed una portata certamente incommensurabile con quella del calibro suddetto.
  • Un’autonomia di fuoco ragguardevole, il che -considerato quanto detto riguardo alla rosata- dava la possibilità di saturare rapidamente vaste aree, e che riduceva radicalmente il problema del ricaricare, operazione tra l’altro verosimilmente meno complicata da effettuarsi con un serbatoio tubolare che non con una doppietta.
  • Per contro, la necessità di azionare la leva tra un colpo e l’altro rallentava certamente le cadenze di tiro.  Questo peraltro, entro certi limiti, non sempre è un problema; anzi.  
 
  Il fucile è bello, gradevole da vedere ed imbracciare, anche se pesantissimo.  Ha il gusto delle cose fatte con le mani ed il cervello, per essere usate.  Infatti, mi suggeriscono il buon LMB ed il buon senso, è  uno dei tanti figli del Genio Mormone.  
     
   
     
   
     
   
     
     
   
     
     
 
 
     
   
     
 

 

 
     
 

 
     
 

Si tratta, a mio avviso, dell’arma più affascinante del gruppo. Anzi, in assoluto, di una delle armi più affascinanti che io abbia visto.  E questo è per me indipendente dal prezzo segnato sul cartellino, dal nome del fabbricante, da tutte quelle cose insomma che possono trasformare un oggetto in uno status symbol.

 
  Un calibro 8 munito di tacca e mirino, entrambi su rampa, costruito in Belgio per andare a tuonare in Asia.  Nato per abbattere elefanti (anche quelli asiatici, se selvatici non sono propriamente gli amabili bonaccioni per cui l’imbecillità pantofolaia delle TV vuol far passare loro ed altri temibili animali), tigri, leopardi e leoni -che tra XIX° e XX° secolo ancora si aggiravano per l’Asia) ha probabilmente diverse avventure da raccontare.  
 

La prima sensazione che infonde è quella di una grande, inarrestabile potenza; poi si inizia a notarne l’esecuzione gradevolissima, la tiratura delle superfici, la solidità dei ramponi e della grande T che, comandata da una leva sottostante il grilletto, blocca graniticamente in bascula i tenoni dell’unica canna. L’imbracci, stavo per parlarne al femminile come di Sua Maestà la Doppietta, senti il calcio e la coccia riempirti la mano, la rampa ed il mirino vanno su, in linea, da soli.

 
 

Ricominci ad osservare i particolari, tecnici ed estetici insieme.

 
  Subito ti colpisce il seno di bascula, solido ed enorme. Noti lo scatto pesante, ma pulito, gli inserti d’avorio della coccia e della punta dell’astina, il cane armonioso sul quale il pollice corre da solo, trovando la giusta leva e la giusta posizione per vincere la resistenza di una molla robustissima; il click del cane che va in blocco è secco, pulito, la chiave gira liscia, ma mai morbida, la canna apre ampiamente e butta all’aria la culatta, per facilitare estrazione e ricarica, che a caccia grossa, soprattutto su un monocolpo, devono essere fulminee.  
  Santiddio, che Fucile!  
     
   
     
   
     
   
     
   
     
   
     
   
     
   
     
   
     
   
     
 
 
     
 

 
 

 
     
     
 

Il “solito” blocco cadente, la “solita guardia arzigogolata” del grilletto, la “solita” canna poligonale; Una leggera, elegante incisione sul metallo, un gustoso motivo sbalzato sul calcio, ove di norma si trova un fine zigrino; un poggia guancia, comodo come una sella maremmana, morbido e sinuoso come una bajadera.  Un fucile “consueto”, visto cento volte, in versione mozzafiato; come incontrare in strada, vestita a festa, la vicina di casa ed realizzare in un momento che è Ava Gardner.

 
  Ti riprendi dalla sorpresa, cominci ad apprezzare la finitura della volata, lo scorrere fluido del blocco cadente, la vecchia splendida diottra che da un secolo e più fa coppia fissa, tra congiungimenti visivi e romantiche lontananze, col mirino, che troneggia sulla volata, le spalle protette da due alette robuste.  
 

Lo  Stecher rende impalpabile lo scatto; l’astina, pur esile alla vista, riempie la mano e ti assicura che potrai gestire e controllare il gran peso, buttato avanti dalla canna ciclopica. Il disegno della guardia diviene da bizzarria barocca appoggio gradevole e saldo per la tua mano.

 
 

Anche questo bel fucile, come il “Calcutta” sa di antico, di selle ingrassate, di acre profumo di polvere nera e cordite.  Ma soprattutto, anche in questo simili, sanno entrambi irrimediabilmente, sapidamente, prepotentemente di fucile e di classe.

 
     
   
     
  - Dodi con lo splendido Martini da tiro cal. 8 mm. -  
     
   
     
   
     
   
     
     
     
 

Romagna solatia …, terra di grande gente, grandi vini e grandi schioppi; valeva la pena arrivare lissù.