di Mauro Minervini (1946-2017) |
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Veste grafica Lucio M. Balbo | ||
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uesta storia ha inizio molto tempo fa; ero ai primi anni di Università (ancora avevo più pratica di fucili che di pandette; poi feci di necessità virtute ed approfondii anche il secondo argomento, più futile ma più redditizio) quando il mio compagno di banco e di studi al liceo mi chiese di dare uno sguardo al vecchio fucile del nonno. Mi si consenta una piccola digressione: tra le poche cose che ho sempre veramente temuto c’è la richiesta di esaminare il fucile del nonno di un amico o conoscente. |
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In genere, direi di regola, ti si presentano delle croste innominabili, coperte di muffa, ruggine e ragnatele; nella maggior parte dei casi l’arma è inutilizzabile, spesso orribile o almeno priva di qualsiasi valore estetico, storico e venale, frequentemente poi è accreditata di qualche particolare pregio del tutto immaginario e, nelle situazioni peggiori, è messa in correlazione con personaggi ed eventi con i quali, in effetti, non ha nulla da spartire. Recentemente, ad esempio, la sorella di un conoscente mi ha contattato per avere informazioni su una doppietta inglese (di marca buona, non eccelsa) che a suo dire era stata costruita negli anni ’30 del secolo scorso per commemorare niente popò di meno che le Olimpiadi di Berlino. Che alla vigilia di Monaco, con la guerra di Spagna alle porte una casa inglese si desse tanto da fare per reclamizzare la Germania mi pareva strano, comunque andai a verificare. Ovviamente né sui sacri testi risultano notizie in merito né, tantomeno, sulla doppietta appare un qualsiasi punzone o iscrizione che avalli questa tesi. Altrettanto ovviamente la gentile signora, alla notizia che il suo è semplicemente un buon fucile di discreto valore e pregio, si è mortalmente offesa e nutro fondate speranze che se trovasse in soffitta un’altra doppietta la porterebbe da qualcuno più bravo di me. |
Mi recai quindi a casa del mio amico pieno di apprensione, temendo di dovergli infliggere una profonda delusione; mi trovai invece di fronte a un bel fodero in cuoio, di quelli che si chiamavano “ a prosciutto”, dal quale estraemmo una vecchia ma nuovissima doppietta di Joseph de Fourny. Nulla di strepitoso, glie lo dissi subito, ma un fucile già allora da guardare con attenzione, una di quelle cose gradevoli e funzionali “fatte come un tempo” che fa piacere trovarsi tra le mani. Gli diedi la mia valutazione, lo accompagnai (lui non ha mai avuto un porto d’armi) in un’armeria seria dove confermarono i miei “responsi” tecnici ed economici, e la cosa finì con una bella pulizia generale dello schioppo che ab immemore, seppure ben conservato, non vedeva scovolo, panno e olio. Abbiamo entrambi messo su famiglia, io ho lasciato Roma e ci siamo rivisti regolarmente, ma troppo di rado per parlare anche di fucili, argomento che interessa me tanto quanto lascia indifferente lui. Un paio d’anni fa mi disse che aveva una mezza intenzione di venderlo. Andai comunque a vederlo, lo pulii di nuovo dopo oltre quarant’anni, lo esaminai con occhio più attento e navigato della prima volta e, devo dire, mi piacque parecchio; gli feci notare nuovamente, peraltro come si trattasse “semplicemente ” di un buon fucile, che pertanto non m’interessava e la cosa sembrava essere finita lì; la settimana scorsa mi chiama, si appella scherzosamente alla vecchia e immutata amicizia nel cui nome, di fatto, mi impone di comprare la doppietta. In effetti, deve andarsene in pensione anche lui; i figli sono sistemati, la sua bella casa ora è divenuta enorme e vuole ritirarsi con la moglie in una villetta al mare. Dello schioppo non sa cosa fare, ora gli crea anche il problema burocratico del trasporto, della detenzione, della sicura custodia. Mi fa un prezzo da amico, tanto che lo incremento un po’ . Lo informo correttamente che metterò in vendita l’arma e gli farò avere l’eventuale differenza, il fucile è il mio. | ||
Lo porto a casa, lo mostro a mia moglie, che lo guarda con attenzione (ne capisce parecchio più di quanto non si possa immaginare) e mi fa:“Accipicchia, bel fucile; certo non è un Lèbeau o un Francotte o una Montecarlo; però è un’arma elegante, ben costruita e rifinita che non può dirsi propriamente un fucile fine, ma confronto a certe cose che vendono oggi è evidentemente su un altro pianeta. Guarda che tartarugatura, altro che certi fucilacci “riccamente riccamati” che valgono un decimo e costano il triplo”. E qui ci vuole un altro inciso; dopo quasi quarant’anni durante i quali mi ha seguito a caccia, in cinofilia e per fucili, Donna Liliana ha sviluppato anche una solida cultura oplologica, e ironicamente definisce (con espressione mutuata da chi ingenuamente chiama “riccamo” le incisioni) riccamente riccamati quegli schioppi che presentano una serie di segni - più o meno organizzati a formare un disegno teoricamente ornamentale – che fabbricante, venditore e proprietario insistentemente definiscono “incisione” ; definizione questa con la quale la distinta signora che condivide i miei giorni e il mio destino indica invece l’apprezzabile ornamento di un fucile che, oltre a sparare bene, abbia anche una qualche valenza estetica. | ||
Un esempio di buona incisione Anselmi su SO3 ELL del 1970 | ||
La doppietta è ora, in vendita, ma molto teoricamente . . . perché, in effetti, è una di quelle cose che valgono più del prezzo che se ne può ricavare. Ha una storia, una personalità, un significato. spero di disfarmi presto di un paio di anonimi schioppi per trovare un posto nell’armadio anche per lei; intanto, cominciamo a descriverla: batterie sidelock, tipo h&h, e bascula tartarugate “ a zoccolo di cavallo”; le parti metalliche erano fatte “cuocere” insieme con ossa di origine animale e, in alcuni casi, a zoccoli di cavallo. l’operazione conferiva al metallo dei meravigliosi, caldissimi disegni “nuvolati” con toni tra il beige, il marrone, il grigio e l’azzurro, sapientemente regolati, tramite il controllo di temperatura e tempo di lavorazione, dal maestro armaiolo. | ||
la cartella sinistra, con la bella tartarugatura | ||
Le canne sono accoppiate con
sistema “demibloc integrale”; ogni canna è stata fucinata insieme ai
semi-ramponi, una volta finita la lavorazione dei tubi questi
vengono accoppiati e saldati “a forte” ed i ramponi, ora interi,
sono poi lavorati per adattarli alla mortisa. Ovviamente, il rampone per cedere deve staccarsi dalla canna, cosa veramente improbabile. Gli altri accoppiamenti “a falso demibloc” (ramponi e piani saldati alle canne o incastro canne-ramponi a coda di rondine) consentono invece, non solo in teoria, il primo che i ramponi si “scollino” ed il secondo che le canne scivolino letteralmente sulla ramponatura, che resta in sede, e si allontanino dalla faccia di bascula. È successo a un mio conoscente, il cui prestigiosissimo e costosissimo express si è così aperto dopo un “brain shot” su un elefante, fortunatamente caduto sul primo colpo. |
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L’arma era stata acquistata usata presso un negoziante che ne aveva fatto rifare le canne da un armaiolo, scalzacani oltre che disonesto, e poi le aveva venduta per “integra ed originale in ogni sua parte”. La certezza di evitare questo inconveniente è direttamente proporzionale all’abilità di chi procede all’operazione di saldatura. Ovviamente, infatti, eventuali discontinuità sono fonte di rischio. | ||
Le canne lunghe 70 cm e con camere da 65 mm, sono forate a 18,3 mm; le strozzature sono molto accentuate(7 e 11 decimi di mm); i coni di strozzatura o bocchetti, lunghi oltre 1 cm, hanno un profilo molto regolare e la retta d’ombra corre perfettamente nell’interno di entrambi i tubi. Quello sinistro, peraltro, presenta qualche piccola opacità subito dopo la camera; verosimilmente decenni di riposo forzato senza manutenzione hanno lasciato questo piccolo segno. | ||
Quadruplice chiusura tipo “Varriale”. Particolare questo assolutamente non consueto, che merita di essere esaminato con attenzione. Alla fine del XIX ed all’inizio del XX secolo, i costruttori più noti avevano dedicato particolare attenzione alle chiusure dei fucili basculanti. In particolare gli Inglesi, cui peraltro dobbiamo peraltro la ramponatura Purdey, non si erano indirizzati sull’irrobustimento di bascula e ramponi (cui avevano dedicato invece particolare cura, Zanotti in testa, i Romagnoli) ma avevano curato i sistemi di chiusura superiore, o “terza chiusura”, sviluppando diversi brevetti: menzioniamo, tra le tante, le Purdey di 1° e 2° tipo, la rara ma efficace Bissel di Rigby e, soprattutto, le validissime puppet head, o testa di bambola, di Westley Richards e la trasversale a perno tondo di Greener (e la sua derivata tedesca, la kersten). Queste ultime due sono universalmente considerate insieme le più solide e funzionali tra le tante pur valide creazioni. A proposito della Greener va specificato che la sua corretta esecuzione non può prescindere dal perno, e relativi scassi, di forma tonda, che consente di distribuire su tutta la circonferenza le forze che su di essi si scaricano; il principio è il medesimo dell’arco Romano, molto più resistente di quello quadrato. Su quest’ultimo, alla fine invece le forze si scaricano sugli angoli e su questi possono pertanto innescarsi pericolose cricche. In effetti, subito dopo la seconda guerra mondiale si scoprì che la forma quadrata dei finestrini era la ragione di frequenti e gravissimi incidenti cui era soggetto un particolare modello di aeroplano, denominato “bara volante”. Pasquale Varriale era un armaiolo raffinato, appassionato di tecnologia armiera e gestiva un’armeria in Napoli, successivamente passata suoi eredi, frequentata dalla “gente bene” un po’ di tutto il centro-Sud. Non per nulla il nonno del mio amico per ordinare lo schioppo si era spostato da Molfetta, 25 km. a nord di Bari, a Napoli. Viaggio ora “nullius momenti”, all’epoca faticoso ed impegnativo. | ||
Sulla canna sinistra: “fratelli Varriale fu Pasquale Napoli” | ||
Don Pasquale Varriale, dicevamo, era un appassionato e anche ai suoi tempi uno dei grandi crucci dei costruttori, fabbricanti ed utilizzatori di doppiette era questo famoso, angosciante “scollamento” del vivo di culatta dalla faccia di bascula. Ogni appassionato dava il proprio contributo alla soluzione del problema; chi sulle riviste o sui libri, chi sul campo. E Don Pasquale s’inventò la “sua” chiusura, che impose, ovviamente, a chi voleva ordinare un fucile nuovo nella sua armeria ed alla fabbrica che doveva realizzarlo. In sostanza partì da una Puppet head Westley Richards, allungò il prolungamento della bindella e ci piazzò nel mezzo un bel foro, ma quadrato, della Greener ; ovviamente nella bascula si trovano gli scassi corrispondenti ed il traversino sia della WR che della Greener. Altrettanto ovvio che l’incremento di sicurezza dovuto all ’aggiunta di una seconda chiusura è verosimilmente “compensato” dalla maggior fragilità della bascula, fortemente scavata, e dal rischio dovuto allo scasso quadrato della “pseudo Greener” | ||
La chiusura Varriale;ben evidenti la testa di bambola posteriore, lo scasso ed il perno ( quadro, in questo caso) della “componente” Greener | ||
Evidentemente o la chiusura era ritenuta valida o il fornire Varriale doveva essere un privilegio ed un business cui i produttori volevano rinunciare; io personalmente propendo per la seconda ipotesi e mi chiedo: Perché quel raddoppiare, quel sommare due sistemi obbiettivamente validi e collaudati, un po’ come usare insieme cintura e bretelle? Non possiamo che ipotizzare. Alcuni ritengono che Varriale non considerasse affidabili le tecniche di lavorazione dei metalli, ma ricordiamo che all’epoca erano in circolazione dei fucili, soprattutto rigati, ritenuti ancora oggi mostri sacri di affidabilità. | ||
Basterà citare i vari Mauser, quello “argentino” DWM in testa, i cui otturatori sono ancora ricercati dai costruttori di carabine custom. | ||
Il nostro era convinto dell’utilità del proprio progetto, ritenendo che le caratteristiche positive di obbiettiva solidità della chiusura sovrastassero quelle negative (fondamentalmente l’imponente scasso della bascula) o volle comunque tramandare il proprio nome ai posteri con un progetto comunque originale? Ovviamente non considerava negativo il famoso traversino quadrato, che peraltro non riesco proprio né a comprendere né a “perdonargli”. | ||
Anche perché mi era già da tempo noto(e mi è stato confermato da un paio di validi Valtrumpini, interpellati per l’occasione) che l’aggiustaggio del perno e scasso tondo è molto più semplice di quello degli omologhi quadrati! Comunque, nel complesso, un fucile molto classico, esteticamente gradevolissimo, dal nome importante, anche se non appartenente all’Olimpo dell’archibugeria, degno di rappresentare la scuola Belga del secolo scorso. | ||
Chiave e seni | ||
Il petto di bascula | ||
I piani delle canne | ||
La ramponatura | ||
Fatto da veri Maestri Artigiani, per essere insieme bello e funzionale, per durare decenni senza nulla perdere della propria personalità. Formulate queste brevi considerazioni sulla doppietta, non ho potuto fare a meno di riflettere quanto si sia arricchito, con una spesa relativamente modesta, il mio armadio dei fucili, soprattutto in relazione a quanto si può oggi acquistare, sul mercato del nuovo, con somme comprese tra i 2000 ed i 5000 Euro. | ||
Attualmente possiedo, oltre a questa belga, tre doppiette: una valtrumpina a cani esterni cal 20, che uso pochissimo, anch’essa con chiusura Varriale; una Army&Navy, fatta da Boss, classe 1909 che ha sparato - e vale- più di tutte le altre messe insieme, con chiusura superiore Westley Richards (o puppet head-testa di bambola), praticamente incrollabile nonostante i 2850 grammi, ed una spagnola con la sola Purdey inferiore, sidelock, ramponata come si deve, che spara da dieci anni legnate a lepri, beccacce e beccaccini, tordi, tortore, colombacci e fagiani italici ed Irlandesi, oltre a qualche piattello di “percorso”senza minimamente scomporsi. Armi fatte ottimamente, o semplicemente bene, il cui valore sul mercato (a parte l’Army & Navy) le rende decisamente abbordabili ed appetibili. | ||
L'express attuale in 9,3x74 (una doppietta, che ha iniziato a sparare lo scorso anno, diciamo venti colpi al cinghiale e cento in poligono) rimane perfettamente in asse nonostante la botta robusta e ci si doppiano i colpi molto agevolmente. Non ha terza chiusura, ma quando lo chiudi suona argentino come il Triangolo della Filarmonica di Vienna, non ha aria tra legni e ferri e, tantomeno, tra ferri e ferri. Ben rifinito, ottima radica, buona tartarugatura (per quanto sia possibile oggi con le tartarugature chimiche), accoppia i due colpi alla distanza che ho richiesto. Costruito su mie specifiche, costo 3500 Euro, fatto da una famiglia (due fratelli e i figli maschi a far fucili, le femmine in segreteria e contabilità; come da copione Valtrumpino) di artigiani che regolarmente, se entri all’ improvviso in officina, trovi attorno alla morsa, con lima o tela in mano. | ||
Express SIACE Alaska. Prezzo di listino circa 4500 Euro - Notare la correttezza delle incassature, Il taglio delle viti mantenuto accuratamente orizzontale, la qualità del legno ottimo in assoluto ed eccellente rispetto alla fascia di prezzo |
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La non facile incassatura delle bascula "a graffe" correttamente eseguita | ||
Corretto l'aggiustaggio dei piani di bascula e delle canne,
tecnicamente ineccepibile il rimesso in oro |
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Ho inoltre nell’armadio alcuni sovrapposti Beretta a partire dal 1955 in poi, serie So e 680, che non hanno mai visto l'armaiolo nonostante abbiano macinato selvaggina, piccioni (quando era permesso) e piattelli. Valore attuale, dai 500 ai 6 / 7000 euro. Su questi la chiusura “razionale Beretta fornisce ampia garanzia di affidabilità, le canne sono forate in modo eccellente, le finiture di gran livello sui più fini e più che dignitose anche sui modelli di minor pregio. | ||
Un S3 Beretta come questo (1955) con batterie "a catenelle"
sistema H&H è facilmente reperibile sul mercato dell'usato in
condizioni eccellenti a prezzi tra i 4000 ed i 5000 Euro (salvo incisioni di particolare pregio) |
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Quando si parla di "eleganti e raffinate" incisioni o di
"accurate incassature" si dovrebbero tenere a mente punti di riferimento come questi |
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Lo zigrino passo 25 righe per pollice dell' S3 del 1955 | ||
Le finiture di gran livello sui più fini sono più che dignitose anche sui modelli di minor pregio | ||
Conosco peraltro gente che dopo poche stagioni si trova tra le mani “il fucile buono”, doppietta o un sovrapposto, che batte come una coppia di nacchere spagnole perché quando lo ha acquistato ha confuso prezzo con qualità e si è lasciata abbagliare da due paperelle in similoro, da pseudo inglesine fatte col laser e ripassate a mano (rimedio frequentemente peggiore del male) che l’hanno distratto da tolleranze indecenti, scatti grattanti, forature fatte col black & decker, legni ricavati da palanche da cantiere pittate col pennarello o, peggio, ricoperte da una pellicola di “ radica” in plastica purissima. | ||
A volte sono “compresi nel prezzo” legni di buona qualità, indubbiamente costosi ma scelti più per l’apparenza che per la sostanza. Provate a trovare un H&H, un Purdey, un Boss, un Lebeau, un Francotte (soprattutto un express, o meglio Double Rifle) di vecchia produzione con calci “nuvolati” ; se ci doveste riuscire fareste presto ad accorgervi che quasi certamente si tratta di un calcio rifatto, “after market” come si dice ora. Perché nessuno di quei costruttori avrebbe rinunciato alla corretta disposizione delle fibre del legno - che devono svilupparsi lungo l’asse del rinculo - al semplice scopo di avere un fucile più appariscente. Appariscente, non bello; ché nell’arma fine, come nel cane o nel cavallo di razza, la bellezza non può prescindere dalla funzionalità nella quale anzi strutturalmente si identifica. | ||
E in alcuni casi questi legni obbiettivamente attraenti e costosi sono incastrati alla meno peggio in ferri anch’essi messi insieme tra di loro nel più assoluto disprezzo per il cliente e per le più elementari regole della buona archibugieria. | ||
Sia
chiaro, la produzione armiera Italiana, concentrata in Val Trompia con alcune
piccole ma importanti, realtà dislocate nel resto del territorio nazionale, è
generalmente caratterizzata da livelli qualitativi tra il buono e l’eccellenza
assoluta. La produzione Italiana di armi basculanti lisce e rigate si pone
complessivamente, senza dubbio, ai vertici mondiali del settore;
peraltro, a fianco dei produttori, la maggioranza, che forniscono
prodotti di qualità da media ad alta, e comunque sempre in
apprezzabile correlazione col prezzo di vendita, ne troviamo altri
la cui produzione, troppo di frequente pubblicizzata come alfiere
dell’Italia nel mondo delle armi, altrettanto spesso si attesta su
livelli meno che minimali.
Non si pensi che queste affermazioni siano da mettere in correlazione con una forma di snobismo, col volersi porre come “laudator temporis acti”. Qui di seguito riportiamo le foto di alcuni particolari di questi fucili, dovuti al “genio ed all’abilità” di due o tre produttori, riprese negli stand espositivi di alcune grandi manifestazioni che, quindi, rappresentano addirittura il top della loro produzione. |
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Le foto che seguono non avrebbero bisogno di
commento. Va solo precisato che non si tratta di fucili da 600 euro provenienti da paesi emergenti o ex URSS; tra l’altro, le incassature grossolane dei legni si risolvono esclusivamente in un difetto estetico, ma l’indecoroso accoppiamento dei metalli certamente non giova alla durata e alla sicurezza del fucile. |
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Non oso immaginare, se questi sono fucili
“da fiera”, cosa possa arrivare nelle armerie o quale possa essere la
percentuale di scarto al Banco di Prova. Questi “fucili con lo spiffero” sono spesso ornati da incisioni degne della qualità dell’esecuzione complessiva; non le mostriamo perché renderebbero identificabili i costruttori e questo è un Paese dove se si dice qualche scomoda verità si rischia di finire in tribunale e perdere. Nei giorni scorsi il figlio di un mio amico mi ha mostrato il suo "nuovo"Franchi Condor. Classe 1950, legni e strozzature indubitabilmente da piccione. Fucile, pertanto, che ha sparato verosimilmente molte cartucce pesanti; effettivamente le canne, probabilmente con brunitura originale, un po'scolorite e l'incisione della bascula leggermente consumata nei punti di presa, fanno pensare che il fucile abbia lavorato parecchio. Non si muove di un centesimo di mm. L’incisione, sobria, pur non recando firme prestigiose è degna di questo nome. Costo 2600 euro, che è una quotazione direi nella norma. Lo stesso prezzo si paga per un Sirio Lusso (quelli “neri” costano all’incirca la metà. ) o per un So2. Nella mia panoplìa ci sono due fucili da tiro (vecchi, ma di ottima marca). Non essendo un appassionato del piattello li ho acquistati per passare, anche a caccia chiusa, qualche giornata con gli amici ed il fucile in mano. Spesa complessiva, qualcosa meno di 1000 Euro. Entrambi in condizioni eccellenti, ancora con la vernice originale praticamente al 100%. Se volessi spenderci ancora qualche centinaio di Euro, potrei montare legni caccia e (horresco cogitans!) ed applicare degli strozzatori interni su entrambi ; avrei così, cambiando i legni in pochi minuti, due ottimi fucili da portare sia in pedana (certo non a livello competitivo, ma più che dignitoso) che in campagna. Nonostante macchinati, sia i legni sia i ferri hanno tolleranze minime (il che soprattutto per L’INSIEME CANNE-BASCULA E PER LA MECCANICA IN GENERALE significa grande durata). |
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Un Beretta 409 o 410, in ottime condizioni
ha un prezzo tra i 400 e gli 800 euro, con meno del doppio si prende una Bernardelli serie Roma “degli anni buoni”; un noto armiere romano ha in vetrina
una eccellente Webley & Scott a 3500 euro. Ultimamente ho notato, nei fucili ”spifferi e paperelle” un lieve miglioramento; malignamente l’ho messo in relazione con una disavventura commerciale, della quale si vocifera, subita da uno di questi produttori; non ci sono più spifferi indecorosamente evidenti, ma la qualità rimane veramente scarsa, inversamente proporzionale ai prezzi di vendita. Basta osservare le foto per notare incassature mai eguali una all’altra, accoppiamenti di ferri ognuno con un diverso angolo e profilo, ammaccature di cartelle nel punto di giunzione tra finte piastre e bascula. Un vero e proprio campionario di piccole nefandezze. |
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Il succo di tutto questo lungo discorso è, mi sembra, molto chiaro. Ci sono sul mercato delle buone armi nuove proposte a prezzi ragionevoli, proporzionati al loro livello qualitativo e, in alcuni casi, al valore collezionistico. Tra queste, quelle di minor pregio vengono vendute per quello che sono, quindi a prezzi più contenuti che lasciano ovviamente intendere all’acquirente quale ne sia livello. Naturalmente viene da pensare che un fucile nuovo da 1000 euro sia nella sostanza differente e peggiore di uno che ne costa 3000 o 5000. Questo è, di massima, vero; peraltro a fianco di queste proposte “umili ma oneste”, vediamo quelle di merce di qualità scadente, mal imbellettata come una vecchia meretrice dai seni cadenti, a prezzi assolutamente improponibili. Fermo restando che con spesa eguale, spesso minore, si può acquistare un’arma nuova di qualità certo più elevata, ci piace rappresentare come la nostra attenzione possa utilmente indirizzarsi anche sul mercato dell’usato, dove sono reperibili armi non necessariamente di grande finezza, ma che hanno ancora un significato tecnico e storico, il fascino delle cose fatte con amore e rappresentano degnamente la grande cultura armiera Europea ed Italiana. | ||
Mauro Minervini - Dicembre 2010 | ||